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AUTUNNO

AUTUNNO...
La caduta delle Foglie

Il Autunno, le foglie cadono dagli alberi e le ritroviamo a terra, umide di rugiada al mattino, fruscianti sotto i piedi dopo una bella giornata di sole. Ecco, di tutti i colori; gialle, rosse, verdognole, brune; di tutte le forme, di tutte le grandezze e forme. Nell'autunno l'albero si prepara per il lungo sonno invernale: non assorbe più nutrimento dal terreno e le foglie, a poco poco, ingialliscono a cadono. La caduta delle foglie è provvidenziale, perchè i rami fronzuti si spezzerebbero sotto il peso della neve. La foglia è un piccolo essere, che vive soltanto una stagione; ma la pianta ha il segreto di quella formula e la ripete sempre uguale ogni primavera

Solstizio d'estate 21/24 giugno - S. Giovanni
Bimbo di 8 mesi ucciso a Genova WhitewonderstarMar Giu 21, 2011 7:28 pm Da ventodelnord
Bimbo di 8 mesi ucciso a Genova Muraka11


Solstizio d'estate 21/24 giugno - S. Giovanni
le lumache, le noci, i falò e la raccolta delle erbe.

E' uno dei sabba minori chiamato anche Festa di S. Giovanni dalla tradizione cattolica. E' il periodo della raccolta delle piante e delle erbe da usare nelle operazioni magiche. Nella notte tra il 23 e il 24 giugno si usa bruciare le vecchie erbe nei falò e andare alla raccolta delle nuove oltre che mettere in atto diversi tipi di pratiche per conoscere il futuro perchè, come dice il detto, " San Giovanni non vuole inganni".

Sin dai tempi più remoti il cambio di direzione che il sole compie, tra il 21 e il 22 giugno, è visto come un momento particolare e magico.
Questo giorno, detto solstizio d'estate, è il primo giorno di una nuova stagione e in magia è associato alla festa di San Giovanni Battista,
https://ventodelnord.forumattivo.com/t1141-solstizio-d-estate-21-24-giugno-s-giovanni#2309
24 giugno, giorno della sua …

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La mia anima mi ha parlato,
fratello, e mi ha illuminato.
E spesso anche a te l'anima parla
e ti illumina.
Tu infatti sei come me,
e non c'è differenza tra noi,
se non questa:
io esprimo cio che è dentro di me
in parole che ho udito nel mio silenzio,
mentre tu custodisci tacito
cio' che è dentro di te.
Ma la tua silenziosa custodia
ha lo stesso valore del mio tanto parlare

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 Bimbo di 8 mesi ucciso a Genova

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MessaggioTitolo: Bimbo di 8 mesi ucciso a Genova   Bimbo di 8 mesi ucciso a Genova WhitewonderstarMer Mar 17, 2010 9:55 am

Bimbo di 8 mesi ucciso a Genova D1aff9193ec5b348f134f61e4f0d508d

GENOVA - Sono stati arrestati nella notte dalla squadra mobile con l'accusa di omicidio volontario del piccolo Alessandro, di otto mesi, la madre del bambino, Caterina Mathas, di 26 anni, ed il suo compagno, Giovanni Rasero, di 29, entrambi genovesi. La coppia, che è stata interrogata per diverse ore in questura, non ha confessato e si è anzi professata innocente. I due sono stati rinchiusi nelle carceri di Marassi e di Pontedecimo. Il bambino era stato trasportato nella tarda mattinata di ieri dalla coppia al pronto soccorso dell'ospedale pediatrico Gaslini con un grave trauma cranico. Era già morto, ma i sanitari avevano tentato una disperata manovra di rianimazione che non aveva dato esito positivo. Constatato che la ferita non era compatibile con una caduta, i medici avevano avvertito la polizia. Caterina Mathas, che risiede con i genitori nel quartiere di San Fruttuoso, aveva trascorso la notte nel monolocale preso in fitto un paio di mesi fa da Rasero in un lussuoso residence di Nervi. Ha sostenuto davanti al capo della squadra mobile Gaetano Bonaccorso, al dirigente della sezione omicidi Alessandra Bucci ed sostituto procuratore Marco Airoldi di aver trovato al risveglio il bimbo esanime nel suo lettino. La versione era stata confermata dal suo attuale compagno, che non è il padre del bambino. Ma i riscontri finora fatti dalla Polizia avrebbero smentito la loro difesa.
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MessaggioTitolo: gli psicologi si domandano...   Bimbo di 8 mesi ucciso a Genova WhitewonderstarMer Mar 17, 2010 9:59 am

Il numero di infanticidi commessi in Italia è cresciuto notevolmente rispetto al passato. Cosa sta cambiando nella testa delle madri? Una raccolta di episodi, di commenti e un'analisi, nel tentativo di fornire una possibile chiave di lettura di questo tragico fenomeno.

•Una macabra casistica
•Elementi comuni e differenze
•Cosa dicono gli esperti?
•Ma allora: perché?
Una macabra casistica
L'ultimo caso di cronaca, quello di Matilda, la bimba di Vercelli che pare sia stata uccisa - forse dalla madre - con dei terribili colpi all'addome, mi ha fatto decidere a raccogliere un elenco di casi di madri assassine dei propri figli, che ho ricavato consultando il sito di Repubblica.it. Non ha la pretesa di essere un elenco completo, ma dà una chiara idea della gravità del fenomeno. Ho citato solo casi che riguardano l'Italia, con tre eccezioni, dovute alla particolare gravità degli infanticidi: i casi di tre madri, una texana, una australiana e una austriaca, che hanno ucciso la prima cinque, le altre due quattro propri figli.

Quando la follia dei genitori esplode per colpire i bimbi

Elementi comuni e differenze
Ciò che caratterizza la maggior parte degli episodi citati è la depressione della madre. A volte si tratta di depressione post-partum (come per Maria Patrizio, la mamma che ha annegato il piccolo Mirko, di cinque mesi), ritenuta un fenomeno relativamente comune, altre volte di una depressione di lunga data, con la presenza in certi casi di aspetti di rilievo psichiatrico.

Un altro elemento caratterizzante, ma solo di alcuni infanticidi, è il degrado sociale in cui vivevano madre e figli. Un caso emblematico è quello della piccola Eleonora, morta di fame a Bari e trovata all'autopsia con lo stomaco completamente vuoto: la bambina ha avuto la sventura di nascere in una famiglia segnata da una storia di povertà estrema, prostituzione e ignoranza.

Ben diverso, però, è il caso del piccolo Samuele, il figlio dell'ormai celeberrima Anna Maria Franzoni, ucciso a Cogne il 30 gennaio 2002. Qui non c'è una storia di degrado e di povertà, ma una famiglia benestante, che vive in una bella villetta di montagna.

Ma l'elemento tipico più difficile da accettare e da comprendere, se non ricorrendo alla teoria del raptus omicida, in queste storie di mamme che uccidono i propri figli, è la brutalità della morte inflitta a bambini indifesi. Samuele Lorenzi, di tre anni, fu massacrato con un corpo contundente mentre era sveglio. Sulle sue mani furono trovati i segni di un inutile tentativo di difendersi. Matilda, morta il 2 luglio scorso in provincia di Vercelli, aveva gli organi interni distrutti dai colpi subiti ed è morta vomitando. I due figli di 4 e 6 anni della macedone Kulena Yadramica furono massacrati a coltellate dalla madre, producendo un risultato definito «agghiacciante» da chi ebbe la sfortuna di osservare la scena del crimine. La diciannovenne di Sedriano che nel novembre 2000 uccise la figlia neonata non si limitò a rinchiuderla ancora viva dentro uno zaino, ma trovò prima il tempo per cucirle le labbra con una spillatrice, per impedire alla neonata di piangere. Anche volendo trovare appigli nella disperazione e nella frenesia del momento, è difficile immaginare qualcosa di più efferato.

Un altro elemento ricorrente in queste storie è il tentativo di dissimulare l'infanticidio da parte delle madri, alterando i fatti e simulando un incidente oppure scaricando la colpa della morte su misteriosi ed irreperibili terzi. Maestra inarrivabile di questa poco nobile «arte» sembrerebbe essere Annamaria Franzoni, la madre di Samuele Lorenzi, se è vero che ancora oggi divide l'Italia in colpevolisti e innocentisti, nonostante il giudice Eugenio Gramola l'abbia giudicata colpevole e condannata in primo grado a trent'anni di reclusione, senza alcun beneficio di attenuanti.

Ma altrettanto dissimulatorio è stato, almeno inizialmente, il comportamento di Maria Patrizio, la mamma di Lecco che ha annegato il figlio di cinque mesi nella vasca del bagno. Solo dopo una settimana di interrogatori stringenti è crollata, facendo parziali ammissioni di colpevolezza.

Anche Olga Cerise, la donna che il 24 giugno 2002 annegò i figli piccoli in un laghetto nei pressi di Aosta, aveva cercato di depistare gli inquirenti sostenendo la tesi che i figli fossero annegati per un malaugurato incidente.

In queste donne l'elemento più forte è l'attaccamento alla vita (la propria), la voglia di salvarsi nonostante tutto, il sogno di poter cominciare una nuova esistenza, cancellando dalle proprie menti e soprattutto dagli atti giudiziari il marchio del crimine commesso.

Ci sono invece altre madri che seguono una strategia opposta, ma altrettanto mortale: depresse, stanche della vita, terrorizzate da un futuro che vedono nero per se stesse e per i propri figli, decidono che è tempo di farla finita. Estendono però l'amara risoluzione della pena di morte anche agli ignari figli, a cui vogliono evitare «pietosamente» la tragedia di continuare a vivere, da orfani di madre, una vita oltremodo dolorosa. Hanno seguito questo filone Anna Maria Colecchia, Maria P. di Montecassiano (Macerata) , Anna Pendolino di Castel del Sasso (Caserta) , e molte altre.

C'è poi un ultimo filone di somiglianze, che riguarda un numero fortunatamente limitato di casi: è quello della follia assoluta, che trascende le possibilità di comprensione e di inquadramento razionale. Mi riferisco ai tre casi avvenuti all'estero, che ho citato nell'elenco precedente: la mamma texana che ha ucciso cinque figli, l'australiana e l'austriaca che ne hanno uccisi quattro. Di fronte a fatti simili si può solo rimanere attoniti, perché la singolarità del crimine commesso non trova alcuna giustificazione nelle spiegazioni delle donne assassine né nel contesto in cui è maturato: lasciare, come ha fatto l'infanticida austriaca, un neonato ucciso in un sacchetto di plastica nel congelatore, cementificarne un altro, disseminare i corpi per la casa, senza, tra l'altro, che il convivente si accorgesse né delle gravidanze né delle uccisioni, è cosa che attiene alla follia e alla psichiatria più che a fenomeni sociali umanamente spiegabili.

Cosa dicono gli esperti?
Cito alcuni stralci da un'intervista del 3 giugno 2005 di Marina Corradi al noto psichiatra Vittorino Andreoli, pubblicata su Avvenire.

[...] L'aumento degli infanticidi - risponde Andreoli - è un dato reale: nel decennio 1993-2003 in Italia sono cresciuti del 41% rispetto al decennio precedente, all'interno del numero complessivo degli omicidi che è invece rimasto sostanzialmente invariato.

Un aumento impressionante. Ma perché?

[...] Lombroso affermava, in generale, che se un individuo fino a quel momento sano un giorno uccide significa che quell'uomo è mentalmente degenerato. Circa l'infanticidio, il "corollario" lombrosiano era che una donna che uccide il figlio non è più madre, è un lusus naturae, uno scherzo maligno della natura.

Noi dunque siamo da questa eredità lombrosiana condizionati per cui, quando una madre uccide, si pensa che certamente debba avere "qualcosa di storto" , che la sua mente l'abbia tradita.

E questo invece non è sempre vero?

No, non sempre. Ci sono, certo, gli infanticidi da depressione post partum, depressioni a volte non curate da medici che hanno dimenticato che un malato lasciato a se stesso può anche uccidere. Ma assistiamo oggi al crescere inquietante di un altro, diverso tipo di infanticidi: quelli di donne sane di mente, che uccidono davanti alle difficoltà poste dall'accudire il bambino. Dunque, lucidamente, per ottenere dei vantaggi, per eliminare quell'ostacolo che il figlio rappresenta. Ricordo il caso di una giovane donna, qualche anno fa, che soppresse il suo bambino di pochi mesi e con la complicità della madre ne occultò il corpo. Da quando era nato, spiegò poi, litigava con il marito, non si poteva più uscire la sera, né andare in vacanza come prima. Era stato un omicidio a freddo, come altri raccontati dalle cronache, che definirei infanticidi dell'ignoranza e della stupidità [...].

Ma per quale ragione un aumento di casi di queste proporzioni?

Esistono oggi condizioni familiari e sociali che favoriscono l'esplosione della tragedia. Mi capita di osservare come molte giovani coppie entrino in crisi proprio con l'arrivo di un figlio, e anche fino alla separazione. Lui si lamenta di non essere più al centro dell'attenzione, lei soffre nel sentirsi imbruttita e appesantita. Entrambi non possono più uscire come prima, o prendere il primo volo scontato per una vacanza last minute. È chiaro che un bambino cambia fortemente il legame di coppia, ed è un cambiamento molto bello. Ma se quel bambino non è nato prima anche nei pensieri, non è stato atteso e immaginato, e i suoi genitori sono abituati a vivere solo nel presente - ecco, invece quel loro figlio è il futuro, per la prima volta, ma un futuro faticoso e ingombrante. E quella piccola famiglia sta chiusa in casa, sola, perché i nuovi "moduli abitativi" sono di 60 metri quadri, altrimenti neanche col mutuo li si riesce a pagare. E in 60 metri c'è poco spazio per il figlio, figuriamoci per una nonna che ti dia una mano. Sono case sterili quelle dei nuovi condomini, case non pensate perché un uomo e una donna con i loro figli vi possano vivere. Chiusi dentro lui, lei, il bambino, e nessun altro. E spesso con stipendi da sterilità quasi obbligata. Come si fa a vivere con ottocento euro al mese? E anche se sono un po' di più, come si fa a vivere con poco, dentro una cultura per cui farsi la lampada abbronzante e vestirsi alla moda è un dovere? E nei 60 metri quadri, con pochi soldi, sole davanti alla tv accesa, sognando, si può cominciare a guardare al proprio figlio neonato come a un ostacolo? È possibile. C'è una cultura, un modo di stare insieme, di costruire le case, di pensare la vita, che può spingere a guardare a un bambino come a un oggetto. Si allunga una mano e lo si prende, la si apre e lo si butta via.

[...] Ciò che sta accadendo è che la biologia, ciò che finora abbiamo chiamato "legge di natura", sembra come sopraffatta da una cultura dominante. Una studiosa come Margaret Mahler ha scritto saggi fondamentali sull'attaccamento simbiotico fra la madre e il bambino nei primi tre anni di vita. Qualcosa di viscerale, per cui la madre avverte il figlio come parte di se stessa; qualcosa di legato al codice genetico in funzione della sopravvivenza della specie, per cui una donna "deve" accudire e proteggere il figlio piccolo, allo stesso modo in cui i merli nel nido sull'albero davanti a casa mia badano ai loro piccoli. Ma, ecco, fra i merli questo comportamento è immodificabile. Mentre un aumento del 41% degli infanticidi in 10 anni - in molti casi compiuti lucidamente - mi fa pensare a una cultura che con i suoi modelli riesce a stravolgere quella che chiamavamo legge di natura. Se è così, costituisce il segnale di qualcosa di drammatico. Secondo me, infatti, siamo in un momento storico drammatico. Nell'evidente inarrestabile declino di una civiltà ingolfata nei suoi insostenibili consumi. Obbligati a continuare a comprare automobili e cellulari per non innescare la spirale della disoccupazione a catena, ma - parlo da laico, come i lettori di Avvenire sanno - senza un senso alle nostre giornate. Occorre un nuovo umanesimo - laico, cristiano, o laico e cristiano, insomma occorre ritrovare un senso. Perché quando accade che vengano uccisi dei bambini - i bambini sono di tutti, non dei loro genitori - si produce, assurdamente, un dolore che sarebbe evitabile. Un dolore devastante e becero, insensato; e il segno, insieme, che si è perso senso e voglia di vivere. Che si comincia a perdere l'essenziale.

Sullo stesso argomento, ha scritto un commento anche il filosofo Umberto Galimberti, apparso su Repubblica.it del 27 maggio 2005 con il titolo «Nella testa di una madre che uccide suo figlio». Eccone alcuni passi.

[...] anche a Lecco, come a Cogne, la famiglia, e in un primo tempo anche i vicini di casa, si schierano a difesa della madre, perché è difficile ammettere che il terribile possa accadere tra noi, quando nessun segno lo lascia presagire.

Ma è proprio così? O la disattenzione che riserviamo a chi vive con noi o accanto a noi porta a non accorgerci di quanto avviene nel chiuso della nostra anima, che non si fida neppure della comunicazione, perché teme che le sue parole possano non essere raccolte o addirittura svilite. E quando la comunicazione collassa, quando la parola si sente vana, non resta che il gesto, per chiudere il discorso con una disperazione da cui non si sa come uscire.

Qui gli psichiatri parlano di "depressione post partum". Vero. Ma questa diagnosi rivela solo un sintomo non di una malattia, ma della condizione della maternità, di ogni maternità, dove l'amore per il figlio non è mai disgiunto dall'odio per il figlio, perché il figlio, ogni figlio, vive e si nutre del sacrificio della madre: sacrificio del suo corpo, del suo tempo, del suo spazio, del suo sonno, delle sue relazioni, del suo lavoro, della sua carriera, dei suoi affetti e anche amori, altri dall'amore per il figlio.

[...] Accettare la realtà quando questa è troppo distante dal proprio desiderio è per chiunque di noi il lavoro che ci affatica ogni giorno. Quando questa fatica supera oggettivamente o soggettivamente i nostri limiti, si affaccia come via di uscita il più terribile degli eventi: l'evento della morte.

[...] I familiari fanno cerchio perché Cogne insegna. I membri della famiglia e i vicini di casa hanno una capacità sorprendente di ignorare o fingere di ignorare che cosa accade davanti ai loro occhi, come spesso succede con gli abusi sessuali, la violenza, l'alcolismo, la follia o la semplice infelicità. Esiste un livello sotterraneo dove tutti sanno quello che sta succedendo, ma in superficie si mantiene un atteggiamento di assoluta normalità, quasi una regola di gruppo che impegna tutti a negare ciò che esiste e si percepisce.

Siamo al diniego che è il primo adattamento della famiglia alla devastazione causata da un membro, sia esso alcolista, o drogato, o pedofilo, o violento, o folle, o infanticida. La sua presenza deve essere negata, ignorata, sfuggita o spiegata come qualcos'altro, altrimenti si rischia di tradire la famiglia. Qui scatta quella che potremmo definire la "morale della vicinanza", che è quanto di più pernicioso ci sia per la coscienza privata, e a maggior ragione per quella pubblica. Infatti, la morale della vicinanza tende a difendere il gruppo (familiare, comunitario) e a ignorare tutto il resto. E così finisce col sostituire alla responsabilità, alla sensibilità morale, alla compassione, al senso civico, al coraggio, all'altruismo, al sentimento della comunità, l'indifferenza, l'ottundimento emotivo, la desensibilizzazione, la freddezza, l'alienazione, l'apatia, l'anomia e alla fine la solitudine di tutti nella vita della città.

Come era vissuto l'infanticidio nel passato o presso altre culture? Accenna a questa tematica un breve saggio di Diana Stanzani, intitolato «La sindrome di Medea: infanticidio e figlicidio».

[...] per i gruppi di cacciatori-raccoglitori come i boscimani o gli aborigeni australiani o ancora i gruppi artici, l'infanticidio diventa un mezzo per il controllo demografico, le donne infatti non possono farsi carico di altri figli prima che quelli che hanno, non siano stati svezzati; le cause che concorrono a determinare tutto ciò sono legate a fattori ambientali, alimentari e di energia domestica. Gli Yanomani dell'Amazzonia sopprimono il neonato se questo è deforme perché sarebbe un peso troppo esoso per la madre e la comunità o, in caso di parto gemellare, il bambino più debole viene sacrificato perché la madre non può allattarli entrambi. Andando ad analizzare le culture altre rispetto a quelle occidentali vediamo come l'infanticidio sia sì una pratica "diffusa" ma che trova una spiegazione ed anche un significato nelle questioni riguardanti il gruppo cultuale e la sua sopravvivenza. Ad esempio presso alcune comunità dell'India e dell'Africa, come riporta Levi-Brull nel suo lavoro Anima Primitiva, la soppressione di neonati non è omicidio perché il bambino appena nato non è considerato un «essere umano completo», lo diventerà in seguito, e il suo status di adulto sarà scandito da una serie di riti di passaggio. Si possono fare anche esempi eccellenti della nostra storia, come gli antichi romani, che gettavano dalla Rupe Tarpea i figli deformi per non parlare poi del diritto di vita e di morte che il pater familias aveva sui figli.

Un aspetto caratteristico del nostro mondo tecnologico e mediatico, certamente assente nelle culture primitive, è la spettacolarizzazione delle tragedie familiari, dovuta all'invadenza di un giornalismo televisivo deteriore e pettegolo. Scrive in proposito la Stanzani: «I mezzi di comunicazione di massa non solo fanno cronaca per informare, ma sempre più spesso descrivono gli avvenimenti con dovizia di particolari agghiaccianti e incuranti della legge sulla tutela della privacy, per vendere di più il prodotto: semplicemente si fa mercato del dolore umano. Si specula per mero guadagno sulla sofferenza, come se fosse una finzione, come se i personaggi del dramma fossero semplici attori che recitano una parte. E per una sorta di gioco perverso, questo a volte accade per davvero. L'interesse ossessivo del pubblico non lascia spazio, spesso, al rispetto che si deve davanti al dramma, ma cerca di sapere sempre di più, scavando nella vita privata dei protagonisti e nel piccolo mondo in cui le azioni tragiche hanno avuto luogo. La notizia prima di tutto, che fa di un avvenimento doloroso e strettamente personale un fatto pubblico, per un pubblico sempre più bramoso e affamato, che spesso giudica sulla base di a-conoscenze.»

Ma allora: perché?


Giotto, «Fuga in Egitto», particolare.
Padova, Cappella degli ScrovegniOgnuna di queste storie di madri infanticide è un caso a sé, ma ognuna di esse è anche parte del processo storico che caratterizza quest'ultimo decennio. Ci siamo dentro: dunque manca la possibilità di giudicare gli eventi con il distacco dello storico né abbiamo sotto gli occhi tutti i tasselli del puzzle. Si possono solo avanzare ipotesi, con la speranza di cogliere intuitivamente lo «spirito del tempo».

Uno spirito che a mio avviso si può scorgere meglio proprio là dove ai delitti delle madri non c'è spiegazione apparente.

La cronaca ci offre storie terribili di degrado, nelle quali capita che dei bambini vengano seviziati e uccisi da adulti bestialmente violenti e ignoranti; ci sono storie di povertà assoluta; storie di infanticidi dovuti a squilibri psichici conclamati; storie di gelosia tra coniugi che si concludono tragicamente per i figli; storie di genitori che uccidono i figli disabili per la stanchezza e la paura di non essere più in grado di assisterli. Sono tutte storie terribili, non c'è dubbio, ma hanno un lato rassicurante: rimangono all'interno dell'orizzonte della comprensibilità; è possibile farsi un'idea e una ragione di come quei genitori siano giunti al punto di uccidere i propri stessi figli.

Ci sono invece altre storie che lasciano impietriti per la loro inspiegabilità: perché quella mattina di gennaio del 2002, uguale a tante altre mattine, Annamaria Franzoni - se è veramente colpevole come ritiene il giudice che l'ha condannata - ha improvvisamente massacrato il figlio di tre anni, sorprendendolo indifeso nel suo stesso letto? Perché il 18 maggio scorso la mano di Maria Patrizio ha tenuto sott'acqua la testa del figlio di cinque mesi fino a farlo annegare? Che tipo di follia si è impossessata improvvisamente di Olga Cerise, costringendola ad annegare i due figli di 4 anni e 21 giorni in un lago?

Non c'è alcuna seria malattia psichica, nessun grave disagio familiare preesistente in queste donne, che permetta di chiarire con sicurezza il perché dei loro omicidi. Sono donne nelle quali un disagio sordo, intimo, che evidentemente covava da tempo, è esploso senza apparente preavviso, conducendole ad azioni tragiche e irreparabili.

Forse allora si può immaginare che si sia manifestato in loro, più che in altri casi, quello che potremmo definire lo «spirito del tempo», del nostro tempo: un senso di soffocamento all'interno di situazioni familiari e sociali frustranti, di meccanismi percepiti come privi di senso, come terribilmente vincolanti della libertà e delle aspirazioni personali; inoltre un vivo senso di inadeguatezza ad accettare il ruolo di adulto responsabile che l'essere madre impone.

Se tali ipotesi colgono nel segno, allora ciò che emerge come quadro complessivo è una società occidentale in profonda trasformazione, in cui le istituzioni sociali tradizionali - la famiglia, la comunità di appartenenza, la chiesa - hanno perduto la loro forza rassicurante, la capacità di dare un senso alle azioni quotidiane e ai sacrifici di una madre. Il destino individuale e collettivo è percepito come nebuloso; non si sa quale è il proprio posto nel mondo né se si ha veramente un posto; e se non si ha un ruolo, non c'è neppure una strada tracciata da seguire. E' come se la società richiedesse a chi è biologicamente, ma non psichicamente, una madre di accettare una serie di rinunce che risultano accettabili, anzi persino fonte di gioia, solo all'interno di un orizzonte di valori tradizionali che, malauguratamente, non sono più sentiti come attuali.

Di fronte a questa tacita imposizione quelle donne si sono ribellate, urlando tramite l'infanticidio tutto il loro desiderio di essere liberate dal peso di una maternità che era evidentemente per loro un fardello insopportabile, forse perché le costringeva a comportarsi come se tutto avesse senso, proprio mentre dentro di loro si sentivano martoriate da una angosciante mancanza di senso.

L'espressione più profonda dello spirito del nostro tempo, balenata attraverso quei terribili omicidi, è dunque la percezione disgregante della mancanza di senso. Come si può spiegare la depressione che porta a dare e a darsi la morte, se non come angoscia da mancanza di senso? Come si può spiegare il fondamentalismo religioso di questi anni, se non come l'estremo tentativo di contrastare la mancanza di senso, negandola con tutte le forze?

Con questa analisi non voglio sostenere la tesi che la vita, il nostro essere nel mondo, sia uno scherzo del destino realmente privo di senso, un gioco inutile nel quale ogni scempio morale è reso lecito dalla mancanza di regole prestabilite. No, affermare questo sarebbe fare del fondamentalismo al contrario, vorrebbe dire sostituire a qualsiasi dio un nichilismo altrettanto dogmatico.

Senza aver la pretesa di alzare il velo dell'essere e scoprirne la natura e le mosse, dico soltanto che la mancanza di senso è senza dubbio la condizione di una parte dell'umanità attuale, dovuta all'essere noi nel bel mezzo di una trasformazione sociale rapida ed incontrollabile: abbiamo perduto dei valori tradizionali e non abbiamo ancora trovato nuovi valori con cui sostituirli.

Questo, tra l'altro, è solo uno dei possibili livelli di interpretazione del fenomeno delle madri che uccidono i propri figli.

Un altro livello di interpretazione potrebbe essere posto ipotizzando che tali tragedie siano un altro dei modi, in cui si manifesta la tensione delle società più ricche del pianeta a limitare autonomamente e inconsciamente la crescita demografica, allo scopo di mantenere il grado di benessere raggiunto. Come è noto, l'Italia è una delle nazioni con il più basso tasso di natalità al mondo: al di là di tutte le spiegazioni sociologiche sul ritardo e la difficoltà con cui le donne italiane accettano la maternità, agisce probabilmente anche una tensione inconscia a limitare le nascite, come forma di autodifesa di una collettività che sa di aver raggiunto il limite di sopportazione del territorio in cui vive, dal punto di vista delle risorse utilizzabili. Se tale ipotesi ha un fondo di verità, persino l'assassinio dei propri figli potrebbe essere una strategia al servizio di questa tendenza inconscia della collettività. Matrimoni omosessuali, matrimoni bianchi, matrimoni ritardati a causa della carriera, calo del desiderio, sesso virtuale, infanticidio perseguito attraverso l'immaturità di alcune madri: una serie di strategie di controllo demografico, attraverso cui la collettività protegge se stessa dall'autodistruzione per sovrappopolazione. Alla faccia del «crescete e moltiplicatevi», ancor oggi propugnato dai cattolici...
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MessaggioTitolo: il mio parere   Bimbo di 8 mesi ucciso a Genova WhitewonderstarMer Mar 17, 2010 10:02 am

nessuno di noi è definibile come essere umano "sano" o meglio "mentalmente sano", a tutti noi del resto capita di "perdere le staffe" perchè in un periodo di eccesivo stress, perchè sembra che determinate situazioni non hanno soluzioni, ma davvero secondo voi, nessuno di noi, ha mai dei campanellini di allarme? ecco a questo non credo !
chiunque "sta vicino" a queste persone nonostante l'affetto, secondo me è in grado di capire che qualcosa sta cambiando... non ditemi il contrario!!!



buonissima giornata a tutti
spero di essere stata esaudiente
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Bimbo di 8 mesi ucciso a Genova Empty
MessaggioTitolo: ci sono novità grazie allo sviluppo delle indagini   Bimbo di 8 mesi ucciso a Genova WhitewonderstarMer Mar 17, 2010 5:34 pm

Secondo quanto emerso, sul corpo del piccolo sono state riscontrate fratture plurime sulla parte posteriore del cranio, bruciature da sigaretta in un padiglione auricolare, e lividi sul collo, provocati probabilmente da pizzicotti.

Dai riscontri effettuati dalla squadra mobile risulta che Alessandro era rimasto con la madre ed il suo compagno dalla sera prima, fino all'arrivo al pronto soccorso. Non e' ancora chiaro chi dei due abbia compiuto materialmente il gesto, ma si ritiene certo il coinvolgimento di entrambi. E' possibile che la donna, che nel corso dell'interrogatorio si e' professata innocente, abbia rimosso l'accaduto, questo potrebbe essere dovuto sia all'uso della droga, sia alla gravita' del fatto.

LA MADRE IN CELLA: 'CHI MI HA PORTATO VIA IL MIO CUCCIOLO?' - "Chi mi ha portato via il mio cucciolo? Non ci posso credere che il mio cucciolo non ci sia più. Non posso credere che sia stato quel ...": piange disperata Catarina Mathas nella sua cella di isolamento nel carcere di Genova-Pontedecimo dove non ha potuto portare nemmeno un ciucciotto, un oggetto appartenuto al suo piccolo Alessandro a cui aggrapparsi in questo momento così buio della sua vita.

Col passare delle ore si fa più forte in lei la consapevolezza di quanto avvenuto in quel lussuoso monolocale di Nervi martedì notte, della morte del suo bimbo, del fatto di essere accusata in concorso col suo accompagnatore di una notte, Giovanni Rasero, dell'omicidio del suo "cucciolo". Stamani il legale della giovane, l'avvocato Igor Dante, è andato a trovarla. La descrive come una madre disperata per la perdita del proprio bambino, di una donna che respinge quasi indignata le accuse che le vengono mosse, di una ragazza niente affatto preoccupata dall'organizzare una strategia difensiva. Le parole di Catarina vengono spesso interrotte da singhiozzi e lacrime, che si alternano con momenti di lucidità in cui si sforza di ricordare.

Continua a dare la sua versione, così come l'ha ripetuta per tre volte ieri sera davanti al pm Marco Airoldi, senza cadere in contraddizione, come spiega il legale. Un racconto che può essere sintetizzato in questo modo: alle 23.30 circa sono arrivati nell'alloggio di Nervi, lei e Rasero si sono fatti di cocaina, e dopo una mezzora circa è uscita lasciando il bimbo. E' stata fuori per un'oretta e al suo ritorno ha controllato che il piccolo, che riposava sul divano, stesse bene e poi si è messa a dormire. E' stato Rasero, alle 10.30 di ieri mattina, secondo il suo racconto, a svegliarla dicendole che Alessandro non si muoveva più, poi di corsa al pronto soccorso dell'istituto Gaslini.



Sono stati arrestati nella notte dalla squadra mobile con l'accusa di omicidio volontario del piccolo Alessandro, di otto mesi, la madre del bambino, Caterina Mathas, di 26 anni, ed il suo compagno, Giovanni Rasero, di 29, entrambi genovesi. La coppia, che è stata interrogata per diverse ore in questura. I due sono stati rinchiusi nelle carceri di Marassi e di Pontedecimo. Il bambino era stato trasportato nella tarda mattinata di ieri dalla coppia al pronto soccorso dell'ospedale pediatrico Gaslini con un grave trauma cranico. Era già morto, ma i sanitari avevano tentato una disperata manovra di rianimazione che non aveva dato esito positivo. Constatato che la ferita non era compatibile con una caduta, i medici avevano avvertito la polizia. Caterina Mathas, che risiede con i genitori nel quartiere di San Fruttuoso, aveva trascorso la notte nel monolocale preso in fitto un paio di mesi fa da Rasero in un lussuoso residence di Nervi. Ha sostenuto davanti al capo della squadra mobile Gaetano Bonaccorso, al dirigente della sezione omicidi Alessandra Bucci ed sostituto procuratore Marco Airoldi di aver trovato al risveglio il bimbo esanime nel suo lettino.

COMPAGNO ACCUSA MADRE DEL PICCOLO - Ha mosso delle accuse nei confronti della compagna, Giovanni Antonio Rasero, l'agente marittimo di 29 anni arrestato nella notte a Genova con Caterina Mathas con l'accusa di omicidio volontario per la morte del piccolo Alessandro di otto mesi. Secondo quanto scrivono alcuni quotidiani locali stamani e confermato in ambienti investigativi, nel corso dell' interrogatorio Rasero ha detto di aver visto Caterina mentre "sbatteva" il piccolo e di averla anche invitata a smettere. La donna invece ha professato la propria innocenza, come spiega il suo legale, l'avvocato Igor Dante. Caterina Mathas avrebbe più volte riferito al magistrato e alla polizia di essere stata svegliata dal compagno in quanto il bambino non si muoveva più. Nel corso dell'interrogatorio inoltre, sia Mathas che Rasero hanno ammesso di aver fatto uso di cocaina quella notte. Elemento che sarebbe comunque risultato dall'esame tossicologico disposto dal pm Marco Airoldi, titolare dell'inchiesta. Dalla ricognizione esterna condotta sul corpo del piccolo sono emersi anche segni di sevizie, come bruciature di sigaretta recenti, e lividi.
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